Erba

Ucraina, un anno fa l’inizio della guerra. I rifugiati anche a Erba, tra paura e speranze

Redazione 24 Febbraio 2023

Cronaca, Erba

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ERBA – E’ passato un anno dall’inizio della guerra in Ucraina. Un anno dalle terribili immagini dei bombardamenti vicino a Kiev, cominciati alle prime luci del 24 febbraio, dei carro armati nelle città, dei bambini con scritto sulla schiena i riferimenti delle famiglie. Già 365 giorni sono trascorsi dall’assurdo conflitto che ha avuto enormi conseguenze in tutto il mondo e che si porta dietro dolore e morte difficili da accettare.

Tantissimi sono stati – e sono ancora – gli ucraini che hanno dovuto abbandonare la loro casa per sfuggire alla guerra, molti di loro hanno trovato rifugio e ospitalità presso la nostra città che, come sempre nei momenti di difficoltà, ha subito attivato una rete di solidarietà e supporto che, oltre all’accoglienza, si è concretizzata in raccolte di materiale inviato nei luoghi di guerra.

In totale, a Erba sono stati 65 i cittadini giunti dall’Ucraina, per lo più donne con figli. Nei mesi scorsi alcuni sono tornati nel loro paese, altri sono rimasti: ad oggi si contano una cinquantina di persone, circa una ventina di nuclei familiari, di cui tre in carico alla Caritas di Erba. E’ stata Giovanna Marelli, referente Caritas, ad aiutarci a ripercorrere le fasi dell’emergenza, volta soprattutto ad offrire ai rifugiati un luogo dove stare.

Giovanna Marelli
Giovanna Marelli

“Poche settimane dopo l’inizio dell’invasione russa i primi cittadini ucraini sono arrivati a Erba – ha ricordato – siamo partiti con il progetto di ospitalità con Oasi dove le famiglie accolte hanno vissuto fino ad agosto. Ciò che ha caratterizzato l’assistenza è stato l’andamento fluttuante della guerra – ha precisato Marelli – le persone che sono fuggite erano sì disorientate ma anche speranzose di poter fare ritorno a casa e da subito abbiamo rilevato una certa titubanza di fronte ad un progetto di radicamento qui. Infatti, quando la situazione sembrava meno pericolosa in parecchi sono ripartiti per l’Ucraina, alcuni portandosi dietro anche i minori. Magari non sono ritornati nelle loro case ma sono rimaste sul confine o comunque in zone più periferiche e lontane dai combattimenti”.

In città e nei paesi limitrofi sono rimaste le persone più fragili: “Per lo più è rimasto chi aveva perso la casa o i familiari e chi soffriva di problemi di salute. C’è stato anche chi ha deciso che questo ‘strappo’ potesse trasformarsi in un progetto migratorio e ha cercato un lavoro: alcuni nuclei, soprattutto mamme con bambini, ci sono riusciti, affittando case con il sostegno di Caritas per un appoggio anche economico. Altri invece sono andati in Germania, altri ancora sono tornati in Ucraina e alcuni in Polonia, per lingua e cultura più vicine”.

Ma anche per chi ha deciso di rimanere e provare ad avviare una nuova vita è difficile superare la paura del futuro, di che cosa accadrà: “C’è molta fatica nel capire cosa significa rimanere qui per anni, è una difficoltà nuova. Come rifugiati queste persone hanno ottenuto un permesso di soggiorno della durata di un anno, per la maggior parte di loro scadrà il 3 marzo, ma di fatto non c’è ancora una direttiva precisa sui rinnovi. L’Europa – spiega Marelli – ha concordato che i profughi debbano continuare ad essere accolti ma le Questure riferiscono che non ci sono ancora indicazioni su come procedere per chi è già qui perché chiaramente l’accoglienza implica anche una copertura economica da parte dello Stato ospitante che stabilisce il Governo. Dunque la paura di chi sta provando a rifarsi una vita qui è che il permesso non venga rinnovato”.

C’è poi il problema, non secondario, dell’inserimento nella società che per quanto accogliente ha una cultura profondamente diversa. “A partire dalla lingua – dice Marelli – non è semplice intendersi ed inserirsi per loro è più difficile, la cultura dell’Est è proprio diversa dalla nostra. Inoltre la paura che ai loro familiari in patria accada qualcosa di brutto li tiene sempre in allerta. Bisogna ricordare che per loro non è stato un progetto venire qui, ma una fuga imposta che ha portato con sé nostalgia e la voglia di tornare”.

Oggi le famiglie ucraine in carico completo della Caritas sono tre, due a Crevenna e una a Parravicino: “Sono due nuclei che sosteniamo – fa saper Marelli – sedici persone in totale, mamme con bambini, che hanno trovato un lavoro e in più c’è una ragazza che è ospite di uno di questi nuclei familiari. I bambini seguono la scuola italiana ma anche quella ucraina, online”.

A un anno dalla guerra purtroppo la situazione è sempre delicata e il timore di chi è fuggito è verso le violenze, sempre più grandi e dolorose, che i propri cari rischiano in patria.

Lunedì sera in Santa Maria Nascente si è svolta una veglia per la pace alla quale hanno preso parte anche alcune famiglie che già lo scorso anno si erano unite all’appello erbese contro la guerra: “Avremmo voluto trovarci e dirci che le tutte le guerre erano finite invece dobbiamo pregare ancora per la pace” aveva detto Don Ettore Dubini aprendo la veglia. Sperando che arrivi presto.

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