EUPILIO – Una testimonianza destinata a lasciare un segno profondo, un incontro che ha interpellato, emozionato, colpito, fatto riflettere tutti coloro che domenica 22 maggio, nella chiesa di San Giorgio ad Eupilio, hanno sentito raccontare Gianluca Firetti da don Marco d’Agostino, il sacerdote che lo ha seguito durante tutta la malattia e con lui ha scritto il libro “Spaccato in due – L’alfabeto di Gianluca”, dal fratello Federico e dall’amico Emanuele.
La chiesa era gremita di persone, come nelle grandi occasioni liturgiche. Il particolare che più balzava agli occhi era la presenza di tantissimi ragazzi e giovani. Molti venivano da altri paesi, forse accompagnati dai loro sacerdoti, seduti nelle prime file, o dai genitori. Non mancavano i sindaci, i collaboratori, chi fotografava, registrava: l’animazione era palpabile.
Quando il coro “La parola cantata” della Comunità Pastorale di Eupilio e Longone conclude il canto “Alto e glorioso Dio” e sullo schermo bianco appare il volto sereno e sorridente di Gianluca, il silenzio è profondo, carico di attesa.
Don Marco, che già ha parlato di lui durante l’omelia nel santuario a Longone, racconta con forza e insieme con pacatezza, la vicenda umana e spirituale del giovane amico, morto nel gennaio del 2015 per una tremenda malattia.
Colpisce subito il riferimento alla sua esperienza di sacerdote, che si è lasciato interrogare da Gian, lo ha seguito con contatti e visite frequenti, gli è stato accanto, ha risposto alle sue domande, ha prestato le sue energie per scrivere con lui il libro che ora è il “testamento spirituale” di Gianluca. Don Marco sottolinea con chiarezza: “non siamo qui per parlare del dolore, della morte di un giovane; come già si avverte nella quarta di copertina, parlando del dolore si rischia la retorica, mentre qui, nel libro e nelle testimonianze, che si susseguono numerose in ogni parte d’Italia dopo la sua morte, si cerca un senso, il senso ultimo del tempo e della vita”.
È poi la volta di Federico che, con una voce velata dalla commozione, delinea un ritratto breve, ma intenso del fratello: un ragazzo semplice, studente normale, sportivo, amante del calcio. Proprio durante i due anni della malattia ha potuto conoscerlo bene ed è orgoglioso della maturazione avvenuta in Gian, che ha scoperto e testimoniato il valore della preghiera. La forza di Gian è stata la capacità di affidarsi (questo termine è una costante dei tre interventi) alla famiglia, alla Fede, all’affetto degli amici.
Il terzo testimone è uno studente, Emanuele Scarani, conosciuto come l’amico della “medaglia”. Quando prende la parola per il suo personale ricordo di Gian, sembra sereno e sicuro di sé, consapevole del valore di un’amicizia che ha segnato e continuerà a segnare la sua vita. La proiezione di un breve video, girato un anno dopo la morte di Gian, porta i presenti a Cremona dove il Vescovo, appena insediato nella sua diocesi, ne ricorda la straordinaria fede.
Si nota subito come Emanuele sia stato arricchito e trasformato da quell’amicizia preziosa ed unica. Il particolare della medaglia è narrato con pochi tratti, come se fosse importante solo chi l’ha ricevuta: Emanuele l’ha conquistata ai campionati nazionali di canoa e che è d’oro è un particolare quasi taciuto. Con slancio l’ha donata all’amico, a colui che considera il vero vincitore di una lotta unica e irripetibile. Gian ha capito che l’Assoluto non si trova nello sport, nel successo, nella cultura, nel denaro, ma è Dio. Un breve cenno, intenso e vivo nella sua memoria e nel suo cuore, è riservato al primo incontro con Gianluca: ancora adesso si porta dentro il suo sguardo e quegli occhi che sembravano abbracciarlo.
Dopo i due ragazzi riprende la parola don Marco: c’è ancora tanto da raccontare e da ricordare. Non si può dimenticare una preghiera di Gian, che non chiedeva al Signore di togliergli la croce, ma di “smezzarla”: davanti all’invocazione “Smezzami la croce”, il sacerdote si interrogava, rifletteva sulla grande fede di Gian e ancora oggi, dopo tanti incontri in cui parla di lui, è colpito da questa fede potente. Torna poi con il pensiero all’ultima settimana di vita di Gianluca, dal 24 al 30 gennaio 2015 e ricorda la domenica delle “grandi domande” e quando il lunedì va tre volte a fargli visita dice di aver ricevuto “tre pezzi di Vangelo”. Sono parole che scendono nel profondo e lezioni di vita per chi le vuole accogliere. Ma quelle che non si possono sentire senza provare un brivido o una scossa sono pronunciate nel momento finale in cui si chiude la vicenda terrena di Gian: “Tu, dono; sei riconsegnato a chi ti ha donato a noi”. Don Marco dice che Gian è uno dei pochi che ha capito chi è un prete e gli ha ricordato che il ministero sacerdotale è annuncio del Dio vivo. Quando Gianluca si sente dire che l’amico sacerdote è in partenza per Assisi per qualche giorno, vorrebbe chiedergli di restare, ma non lo fa e ne attende il ritorno: lo confida alla madre, aggiungendo che, se glielo avesse chiesto, don Marco non sarebbe partito. L’amico sacerdote riesce a tornare e a essergli accanto nel momento ultimo della sua vita terrena.
Due piccole note, due immagini originali chiudono l’incontro: una è la firma del contratto del libro, l’altra un simpatico e ironico disegno, inedito: si vede Gesù con accanto Maria e san Pietro e una scritta: “Pietro, va’ ad aprire… sta arrivando!!”. Appesa alla chiave c’è una grossa banana. Un segno che richiama il gruppo di WhatsApp dei “bananari” che Gian aveva costituito con i suoi amici più stretti durante il periodo della malattia.
Gli applausi che seguono gli interventi dei tre testimoni e concludono l’incontro sono prolungati, spontanei e intensi. Il canto mariano “Ave mundi spes” (Ave speranza del mondo) con l’immagine di Gianluca proiettata sul grande schermo segna un momento di intensa spiritualità e di grande commozione.