ERBA – «Magrissimo, con la barba lunga e soprattutto sempre con uno smagliante sorriso. E come ti parlava… Ti guardava fisso e nello sguardo sembrava già saperti leggere nell’anima». È vivido il ritratto di monsignor Aristide Pirovano nel ricordo del dottor Carlo Porta, commercialista erbese, a lui legato da un rapporto di amicizia e stima che univa le rispettive famiglie. La sua testimonianza sarà pubblicata sul sito dell’Associazione Amici di Monsignor Aristide Pirovano (www.amicimonspirovano.it) martedì 22 aprile, nel contesto dell’iniziativa promossa dal sodalizio per celebrare i 110 anni dalla nascita del Vescovo missionario erbese (22 febbraio 1915).
Porta inizia dalla sua infanzia, quando le due famiglie abitavano entrambe in via Mazzini: «Ricordo bene l’amicizia con mio papà, la venerazione che ne aveva mia nonna Rachele e le frequenti visite delle sue sorelle Carla e Lina». Poi il giorno della Cresima, con la raccomandazione del Vescovo («Carlo, ricordati adesso di fare il bravo…») e la sorpresa degli altri ragazzi nel constatare una tale familiarità.
Per Porta le avventure missionarie di padre Aristide erano «gesta di un vero eroe, ma per lui erano solo il volere di un Dio che non ha mai smesso di amare». E, parlando del periodo di Marituba, confessa di non capire come «riuscisse, con mezzi limitati, a costruire prima delle baracche, poi una chiesa, poi un ospedale, poi casette di accoglienza e infine una città intera».
Il racconto si concentra poi sul proprio matrimonio, la cui celebrazione fu preparata in macchina, «nel cortile della sua casetta di via Mazzini, qualche giorno prima della data fissata»: «Il suo sermone fu bellissimo – ricorda – e ancora oggi mi commuovo al pensiero di quei momenti, di come riusciva ad aprirti il cuore, di come riusciva a renderti partecipe di una sua spiritualità profonda calata nel quotidiano… La Messa durò quasi novanta minuti, ma credo che nessuno abbia mai guardato l’orologio».
Nella testimonianza si susseguono altri episodi di vita quotidiana, che lo stesso Porta definisce «comuni, semplici, niente di importante». Ma che gli hanno lasciato «vere emozioni», difficili da descrivere, perché si possono solo «rivivere con il pensiero e la preghiera».
Porta non sa se padre Aristide «potrà mai essere proclamato Santo». Ma ricorda un inconveniente automobilistico occorso ai suoi genitori, che poteva avere conseguenze disastrose e che invece si concluse senza alcun anno: «E mia mamma sulle gambe si ritrova una foto di padre Aristide prima conservata nel cassettino». E conclude: «Per me un Santo l’abbiamo sempre avuto qui vicino a noi…».