PONTE LAMBRO – Ecco cosa ne pensa l’assessore ai Servizi Sociali Maria Teresa Agrati sulla tanto discussa questione di una “moschea a Ponte Lambro”. Il suo pensiero è stato pubblicato sul sito del gruppo “Insieme per Ponte Lambro” e riportato in parte ieri in Consiglio dalla stessa consigliera.
Non c’è persona che incontri, in questi giorni, che non mi chieda cosa ne penso della “Moschea a Ponte Lambro”.
È un tema scottante e mi è stato difficile rispondere con un discorso articolato perché, anche se il tema è complesso, chi fa la domanda di solito non vuole un ragionamento, ma vuole soltanto e velocemente misurare il nostro grado di affidabilità, che dipende dal nostro essere “favorevoli” o “contrari” al credo dell’interlocutore.
Non puoi spiegare che quella di cui si parla non è una moschea ma una “sede di associazione culturale” perché questo è subito interpretato come la volontà di minimizzare e quindi, nascostamente, di favorire: perché tu sei vicina al partito democratico e quindi favorevole all’Islam, perché non mostri i pugni contro chi appartiene ad una etnia e ad una cultura considerata “inferiore”, perché non consideri il diverso da te come qualcuno da combattere a priori, come qualcuno che viene qui solo a rubare pane e servizi ai veri cittadini italiani.
Perché, certamente, in molti casi la domanda è strumentale ed ha come unico obiettivo collocare chi fa la domanda dalla parte dei “buoni”, quelli cioè che difendono i veri italiani dall’invasione di persone straniere e spingere l’interrogato (che appartiene a un’altra lista e ad un’altra visione politica) dalla parte dei “cattivi”.
Perché, infine, è un tema che oggettivamente divide ed in questo momento storico qualsiasi accenno all’Islam ed alla religione islamica evoca storie oscure e terribili di persone orrendamente giustiziate, bandiere nere e minacce terrorizzanti a Roma, all’Italia, al mondo intero, per cui soltanto chi sa razionalmente riconoscere che quelle sono deviazioni aberranti e non parte del sistema può essere disponibile ad ascoltare riflessioni più ampie di un si o un no ma non sono, di solito, queste le persone che interrogano.
Allora provo a scrivere, per spiegare qual è la mia posizione in merito alla famigerata “Moschea”.
La mia risposta non può che avere due prospettive: quella che parte dalla responsabilità come membro di questa Amministrazione Comunale (che forse è ciò che importa maggiormente ai cittadini di Ponte Lambro) e quella mia, personale, sicuramente meno rilevante. Ma voglio raccontarla lo stesso.
Parlando come esponente dell’Amministrazione di Ponte Lambro, è necessario fare alcune precisazioni e rilevare alcune anomalie nei comportamenti dei rappresentanti dell’associazione Intesa (quella che avrebbe voluto insediarsi a Ponte Lambro) a mio avviso inaccettabili, premettendo però che, pur consapevoli dei pregressi che hanno determinato l’allontanamento di questa Associazione dal sito di Erba e della possibilità che dietro l’apertura come sede di associazione si nasconda l’intenzione di rendere operativo un vero e proprio luogo di culto, bisogna precisare che, ad oggi, per Ponte Lambro non di moschea si tratta ma di “sede di un’associazione legalmente riconosciuta”.
Chi ha stipulato un regolare contratto di affitto dei locali di via Volta è infatti l’Associazione culturale Intesa per farne la sua sede operativa, affittando però locali che hanno una destinazione d’uso (officina meccanica, esposizione) diversa da quella configurata dalle attività indicate nello statuto associativo.
Lo ha fatto inoltre in assoluto silenzio, credendo di mettere l’Amministrazione Comunale di fronte al fatto compiuto: non ha chiesto pareri preventivi né un confronto con l’Amministrazione Comunale, ma ha unilateralmente inviato una “comunicazione” con cui informava che dal 1° febbraio l’associazione era operativa presso i locali affittati.
Ricevuta la comunicazione, sono state attivate le necessarie verifiche della compatibilità dei locali con le disposizioni comunali, regionali e nazionali e la prima valutazione ha evidenziato la mancanza, allo stato attuale, di taluni requisiti essenziali per legittimare l’operatività dell’associazione, per cui è stata comunicata ai rappresentanti dell’associazione la negazione dell’autorizzazione ad operare.
Inaccettabile quindi, a mio parere, che i rappresentanti dell’associazione Intesa, pur consapevoli (vista la loro precedente esperienza di Erba) dell’esistenza di norme e disposizioni che regolamentano l’utilizzo di locali destinati ad attività associative che prevedono l’afflusso anche consistente di persone, anziché rivolgersi al comune per le preventive informazioni sull’idoneità, abbiano agito in piena autonomia, prefigurando inoltre una situazione operativa di illegittimità per l’assenza dei requisiti prescritti.
È fondamentale che chi vuole vivere nel nostro Paese capisca ed accetti che le nostre regole vanno rispettate e che non é possibile fare i furbi e cercare di scavalcarle. In quest’ottica di rigoroso rispetto delle leggi non si pone neppure la questione della “moschea” o, comunque, della possibile costituzione, nei locali affittati, di un qualsivoglia luogo di culto in quanto non esistono in alcun modo le caratteristiche né strutturali né ambientali previste dalle norme vigenti, anche alla luce della recente legge della Regione Lombardia n.2 del febbraio 2015; è pertanto evidente che qualora si potesse prefigurare l’istituzione in detto immobile di un sito dedicato alla preghiera l’Amministrazione Comunale adotterà tempestivamente tutti i provvedimenti utili a contrastare ogni violazione e a garantire il pieno rispetto delle leggi.
Sul piano personale invece non posso che essere sconcertata e preoccupata da questo gridare, scomposto, fazioso, a priori, che impedisce il serio confronto e la pacata discussione su un argomento di grande attualità ed importanza.
È giusto, è ragionevolmente possibile impedire a persone che vivono da anni nel nostro Paese, che lavorano e pagano le tasse, che usano i nostri servizi e fanno la spesa nei nostri negozi, di avere un luogo in cui incontrarsi e, perché no, conservare il ricordo delle loro tradizioni e della loro cultura?
È giusto, è ragionevolmente possibile impedire che ci sia un luogo in cui possano incontrare chi è arrivato da poco, per creare una rete di solidarietà che sostenga chi è straniero, cioè “estraneo” alla nostra cultura, e lo aiuti ad inserirsi, lo accompagni verso la conoscenza delle nostre regole, del nostro modo di vivere?
Ma, non vivendo fuori dal mondo, sappiamo che le notizie di morte e di orrore mettono in discussione anche il nostro senso di giustizia, ed allora proviamo un altro approccio, proviamo a non pensare a ciò che è giusto o ingiusto e “ragioniamo” solo su cosa è possibile, su cosa è meglio.
È veramente possibile impedire? Altri prima di noi ci hanno provato, cacciando nella clandestinità gruppi o popoli, oppure cercando di annientarli, ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. È meglio dunque la clandestinità o il governo delle cose?
Io sono convinta che, una volta certi che esistono buone regole a cui appigliarsi; convinti che TUTTI devono rispettare disposizioni, norme, leggi; sicuri che chi ne ha mandato le fa rispettare, è necessario che anche i DIRITTI siano rispettati e che a TUTTI sia consentito di esercitarli in piena trasparenza. E tra i diritti che devono essere garantiti a tutti, in Italia, ci sono la libertà religiosa e la libertà di associazione.
“La libertà religiosa in Italia è garantita dalla legge fondamentale dello Stato, la Costituzione, sulla quale poggia l’intera normativa vigente in materia e alla salvaguardia dei diritti in essa contenuti sono ispirate le modalità attraverso cui lo Stato regola i propri rapporti con le diverse confessioni religiose presenti sul territorio italiano”.
“I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare”.
Mantenere trasparenti questi diritti, oltre a favorire la vera integrazione, facilita il controllo e permette, di conseguenza, di contrastare con maggiore facilità le illegittimità e punire le violazioni.
Pensiamoci, ogni volta che, invece, corriamo il rischio di creare le condizioni perché le giuste aspettative di un gruppo di persone debbano essere soddisfatte nella clandestinità e, quindi, nell’illegalità.