L’Infettivologa del CAB: “La pandemia ci mette di fronte a un’ardua prova: collaborare per vincere la sfida”

Caterina Franci 4 Novembre 2020

Sanità

La dottoressa Miriam Fossati

ERBA – La pandemia da Covid-19 ha riportato in primo piano le malattie infettive ponendoci dinanzi ad una nuova sfida. Data l’attuale emergenza sanitaria, qual è il ruolo degli specialisti in Infettivologia? E come muoversi per limitare i danni della pandemia? Abbiamo cercato di rispondere a queste domande con l’aiuto della dottoressa Miriam Fossati, Infettivologa del CAB di Erba insieme alla collega dottoressa Maria Carmen Nigro.

“Partiamo da un dato di fatto: è difficile sapere cosa succederà ma, sicuramente, la pandemia da Coronavirus ha rimesso in primo piano le malattie infettive. Possiamo dire che fino ad ora pensavamo di essere oramai immuni alle infezioni grazie alla scoperta degli antibiotici, alle vaccinazioni e ai grandi passi avanti di una medicina sempre più tecnologica e sofisticata.

Un po’ di storia recente: l’infezione da HIV, che pure oggi conta oltre 40 milioni di positivi nel mondo, è attualmente diventata una malattia comunque curabile, grazie all’efficacia dei nuovi trattamenti, anche se, soprattutto nei Paesi a basso sviluppo economico, miete molte vittime per la mancanza di accesso alle cure e la scarsa prevenzione. La SARS (Severe Acute Respiratory Syndrome) nel 2003-2004 e la MERS (Middle East Respiratory Syndrome) iniziata nel 2012, due infezioni da Coronavirus e, da ultimo, la drammatica epidemia di Ebola del 2013-2014 sono quelle che definisco “pandemie mancate” perché si è riusciti ad arginarle ed hanno colpito in maniera critica prevalentemente alcune aree geografiche e non tutto il mondo, come nel caso del COVID-19. Questa epidemia, di cui stiamo purtroppo vivendo la seconda difficile ondata e per la quale non è ancora disponibile un vaccino, ha rivelato la nostra fragilità e ci ha dato la sensazione di un nemico invisibile, temibile e difficile da controllare” ha detto la dottoressa Fossati.

Il ruolo dell’Infettivologo, secondo Fossati, è cruciale per la prevenzione e la cura del Covid-19: infatti “Lo specialista delle malattie infettive oltre che in ambito ospedaliero, può dare un decisivo contributo in ambito territoriale; – ha spiegato – penso alla collaborazione con i medici di medicina generale, al confronto diretto con i pazienti, anche per quanto riguarda le principali infezioni, per esempio delle vie urinarie, polmonari, della pelle, osteoarticolari, ecc.

E’ fondamentale d’altra parte il lavoro sinergico da portare avanti con gli ospedali, che sono in prima linea contro l’epidemia, con le RSA, con le case di cura, con le strutture riabilitative e le cliniche dove, abbiamo visto, un mancato controllo dei contagi può causare focolai di difficile contenimento. Se si pensa inoltre all’emergenza da germi resistenti agli antibiotici (MDR), ovvero alle infezioni correlate all’assistenza, diffuse e temibili nelle strutture di cura, la competenza e l’esperienza dell’infettivologo possono essere di grande ausilio.

Infine le chiavi del successo per arginare l’attuale pandemia sono due: “Da un lato il contact tracing, dall’altro la sinergia tra le varie figure professionali. Il tracciamento dei contatti avviene attraverso punti di ricerca, come i laboratori presenti sul territorio, che offrono la possibilità di effettuare, a seconda della necessità, test sierologici o tamponi virologici per individuare i soggetti positivi. Da questa attività di tracciamento è possibile risalire anche a quelli asintomatici (e contagiosi) e quindi, isolando correttamente i positivi, intervenire per fermare i focolai.

Al 3 novembre 2020 i dati ci dicono che i casi confermati in tutta Italia sono 759.829 con 109.932 casi testati ed un rapporto positivi/casi testati pari al 25,7% (dati aggiornati da Fondazione GIMBE) con 2.225 ricoveri in terapia intensiva (+203 in un giorno).”

La seconda parola d’ordine è la collaborazione: “Lo scopo finale del lavoro di tracciamento e di prevenzione condotto con il supporto e la competenza di ATS, è quello di evitare il sovraffollamento degli ospedali, in particolare dei Pronto Soccorso e delle Terapie Intensive,  a discapito della cura dei pazienti affetti da altre patologie. In tal senso confido nel ruolo che centri come il CAB possono giocare in termini di collaborazione e supporto al territorio.

Se ognuno fa la sua parte collaborando con gli altri, eviteremo di “smarrirci” e potremo superare questo momento di faticosa lotta contro il virus per tornare alla serenità della nostra vita.