Canzo

Canzo: parte sabato con Barbablù 2.0 la stagione teatrale

Lorenzo Colombo 15 Ottobre 2015

Attualità, Canzo

17 OTTOBRE 2CANZO – Ai nastri di partenza la stagione teatrale. Partirà infatti sabato 17 ottobre alle 21 la stagione 2015/2016 al Teatro Sociale con lo spettacolo Barbablù. 2.0- I panni sporchi si lavano in casa.

Una prima nazionale scritta da Magdalena Barile con la regia di Eleonora Moro e le straordinarie interpretazioni di Laura Negretti e Alessandro Quattro, produzione Teatro in Mostra di Como. Per prenotazioni NonSoloTurismo cell: 3319939726 – mail:info@nonsoloturismo.net – tutti i posti sono numerati biglietto €.18 intero – €.15 ridotto.

Barbablù 2.0:

Fra tutti i crimini contro l’individuo che questa società democratica sembra assorbire senza troppo scomporsi, digerendo i fatti sanguinosi con atavica assuefazione, ci sono i delitti contro le donne. E’ cosa nota che ogni giorno i media ci bombardano con le notizie di nuovi casi di uxoricidio; fidanzate, moglie e figlie, colpevoli di suscitare nei loro uomini-padroni spettri di infedeltà, ribellione, indipendenza, pagano con la vita la loro disubbidienza. Schiave ridotte a corpi senza volontà che non trovano e non possono trovare la forza di spezzare le catene perché troppo abituate a subire, soggiogate dalle cattive tradizioni e dalla mancanza di un’alternativa. Non spetterebbe al teatro sanare le piaghe sociali ma chi lo fa e lo frequenta, lo sa: la natura del teatro è quella di scardinare la realtà, rappresentandola, e costringendola così a ripensare se stessa. Quando Laura Negretti mi ha commissionato la scrittura di questo testo, aveva già in mente molto chiaro, che per parlare di donne maltrattate non avremmo dovuto cominciare dalla cronaca ma da molto più lontano, da molto più in profondità. Dalla tradizione popolare, dalla fiaba di Barbablù, scritta da Charles Parrault nel XVII secolo. (Fiaba che curiosamente nasce come monito alle fanciulle di non lasciarsi guidare dalla troppa curiosità e oggi si presta perfettamente a essere una parabola sulle donne vittima di follia omicida da parte di mariti.) La figura di questo marito orco, Barbablù, che colleziona mogli assassinate nella stanza segreta del suo castello è stata per secoli suggestiva materia di riscritture, sceneggiature cinematografiche, riflessioni teoriche, spunti gotici e umoristici. Lavorare sulla riscrittura di un classico, rispondere alla sua chiamata, significa cercare nel contemporaneo tutte le possibili casse di risonanza per far rivivere i conflitti drammatici e le funzioni narrative originarie, facendole proprie con scelte stilistiche e formali. Esiste un teatro didattico che mostra allo spettatore come deve comportarsi, esiste un teatro sociale che mostra allo spettatore come “non” deve comportarsi e poi esiste il teatro tout court che racconta delle storie e lascia allo spettatore la libertà di giungere alle proprie riflessioni. Noi ci siamo ispirati a quest’ultimo modello. La prima scelta è stata quella di ambientare il lavoro in una ricca provincia del nord di questo paese, evitando l’alibi della povertà, della dislocazione geografica e dell’ignoranza. Un mondo all’apparenza di assoluta armonia, di fiaba appunto, dove dietro le porte regnano meccanismi implacabili di violenza e sudditanza psicologica. Per narrare il nostro Barbablù abbiamo scelto il “thriller”, il genere del mistero per eccellenza, per raccontare e scandagliare quello che per certi versi rimane davvero un mistero doloroso, una zona oscura della società ancora tutta da risanare. Di cosa si nutre ancora, nei tempi del progresso e delle pari opportunità, quell’incantesimo che ancora affossa volontà e ragione e trasforma le donne in vittime? Barbablù 2.0 non è la storia di un marito violento e delle conseguenze delle sue azioni, ma la storia di un viaggio nella testa di una donna. La ricerca di un’identità forte che si è persa, sfilacciata fra violenze e soprusi che sono diventati la norma. Come in un giallo, la protagonista si troverà a ricostruire la dinamica di un omicidio, il suo, arrivando alla consapevolezza finale e terribile di esserne stata complice.