Canzo

Canzo, il 4 novembre a Teatro lo spettacolo ‘D’amore e guerra’

Caterina Franci 30 Ottobre 2018

Canzo, Cultura

CANZO – Si intitola “D’amore e guerra” lo spettacolo del 4 novembre in programma al Teatro di Canzo alle 16. Liberamente ispirato ad “Addio alle armi” di Ernest Hemingway Regia e Drammaturgia Marco Filatori – Progetto teatrale Laura Negretti – Scenografia – Progetto Luci Armando Vairo- Con Gustavo La Volpe Laura Negretti Produzione Teatro in Mostra – Como. Con la Straordinaria parteciapazione del Coro Alpini di Canzo.

Da una guerra non si torna indietro. Cambia in profondità la terra, le città, le persone. I confini. La Prima guerra mondiale in un certo senso ha fatto terminare il Medioevo. Sono crollati quattro Imperi: il russo, l’austro-ungarico, l’ottomano e il prussiano. Sono nati nuovi stati, nuove identità nazionali, nuove e disastrose ideologie… Il tenente Frederick Henry, giovane e aitante americano, arruolatosi volontario nella Sanità italiana non aveva capito niente. Pensava a una bella avventura, da vivere soprattutto nelle retrovie quindi al sicuro. Pensava alle infermiere che avrebbe sedotto e a un’esperienza che avrebbe potuto essergli utile se avesse poi deciso di fare il giornalista. Positivo e pieno di energia, come il più classico degli americani medi. Ma l’ultima delle infermiere che conoscerà sarà speciale: Catherine Barkley. E’ il racconto di una storia d’amore nella cornice di una guerra terribile; una storia d’amore che presto si trasformerà in tragedia, una “Caporetto umana” che diviene specchio della Caporetto storica. Ma è anche il racconto di una guerra terribile, dove qualcuno ha avuto il coraggio di amare. “Addio alle armi” è la storia di amore e di guerra che Ernest Hemingway aveva sempre sognato di scrivere ispirandosi alle sue esperienze del 1918 sul fronte italiano; un groviglio inestricabile di finzione e realtà.

L’unico elemento certo è un forte sentimento antimilitarista e antiguerrafondaio, un profondo orrore per una guerra fatta di continui assalti a trincee inespugnabili e il disgusto per battaglie assurde volute da comandanti imbevuti di retorica e vanità. L’apparente insensatezza, o meglio l’inopportunità della storia d’amore tra Frederick e Catherine acquisisce un valore primordiale nel momento in cui diviene una rivolta contro la violenza e il sangue ingiustamente versato. Una condanna senza appello di quanto d’inumano appartiene alla guerra. Ma per noi non bastava il punto di vista esterno, oggettivo e forse anche un po’ freddo, dello scrittore americano. Abbiamo sentito l’esigenza di inserire una vicenda umana a noi più vicina; uno sguardo italiano e patriottico. È per questo motivo che alla storia del protagonista di “Addio alle armi” abbiamo scelto di affiancare la storia di Luigi, o meglio del Luigi, che decide di scappare dal suo villaggio in territorio Austro-Ungarico, ma proprio al confine con il Regno d’Italia, per arruolarsi volontario nell’esercito italiano.

Si troverà scaraventato, come giovanissimo soldato semplice, in prima linea sul fronte orientale dove sarà travolto dalla cruda realtà della guerra. Una guerra fatta di trincee inespugnabili e battaglie assurde volute da generali imbevuti di retorica patriottica e vanità. Un ragazzo come tanti che ha un solo sogno, semplice e immenso; uscire vivo dalla guerra e sposare, in un’Italia finalmente pacificata, la ragazza che ama sotto la bandiera che ama. Due drammatiche vicende umane messe a confronto, due destini che corrono paralleli quello di Henry e quello del Luigi; una è il negativo dell’altra, una sorta di nemesi sullo sfondo della disfatta di Caporetto. La scelta registica è stata quella di svolgere la narrazione su due piani; quello personale dal punto di vista dei quattro amanti in lotta contro tutto e tutti, e quello storico. Finzione e realtà; da una parte la storia romanzata e dall’altra i crudi resoconti di una guerra che di grande ebbe solo il nome. Si parte nel 1915 per poi arrivare rapidamente al 1917, l’anno cruciale, l’anno della svolta: la disfatta di Caporetto con la vergogna e la rabbia, la rivoluzione bolscevica, la decisiva entrata in guerra degli Stati Uniti e finalmente, la rimozione del criminale e incapace generale Cadorna a capo del Regio Esercito, sostituito dal ben più abile Armando Diaz. Fino ad arrivare all’estate del 1918, quando i soldati italiani finalmente respinsero l’ultimo attacco degli Austro-Tedeschi sul Piave e li sconfissero definitivamente a Vittorio Veneto.

Una vittoria certo ma una vittoria che Hemingway scelse di non raccontare. Ha preferito mostrarci la diserzione del giovane ufficiale americano, durante la ritirata di Caporetto, e il suo ricongiungimento con la donna amata. Due fragili figurine di carta che si stagliano sull’orrore della guerra che, per un attimo, in virtù del loro amore e della loro umanità sembrano essere immuni agli orrori della storia ma che alla fine ne sono travolte. Non c’è lieto fine nella storia che Hemingway ha scelto di narrare; l’amore rimane una semplice aspirazione, la felicità viene sconfitta e la sconfitta è l’esatto opposto di una vittoria. Il Luigi invece…