Erba

4 colpi alla ‘Ndrangheta, Enzo Ciconte racconta la mafia “dall’omertà ai social”

Caterina Franci 20 Aprile 2018

Attualità, Erba

ERBA –  “Antimafia vs omerta’”. E’ questo il titolo del terzo incontro del ciclo di conferenze 4 colpi alla ‘Ndrangheta promosso dal Circolo Ambiente Ilaria Alpi che si è svolto ieri sera, giovedì, presso la Fondazione Giuseppe Prina di Erba. Ospite il professore Enzo Ciconte, docente di Storia della Criminalità Organizzata all’Università Roma 3 e uno tra i massimi esperti di organizzazioni criminali in Italia. A moderare la serata la giornalista Antonella Crippa (La Provincia di Lecco), recentemente vittima di minacce via mail.

Ciconte è stato il primo in Italia ad utilizzare il termine ‘Ndrangheta: “Sono orgoglioso del luogo dove sono nato, ma anche arrabbiato con chi ci vive e l’ha macchiato di crimini”. Antimafia vs omertà è il titolo del suo ultimo libro, e proprio sull’omertà è stato fatto un primo focus: “L’omerta’ nasce dal fatto che la maggior parte del popolo, gente povera e analfabeta, vedeva stravolgere le proprie parole dai potenti. Fu cosi’ che allora i contadini scelsero come arma di difesa il silenzio. I mafiosi successivamente hanno cambiato le carte e utilizzato tale mezzo a proprio favore” ha spiegato Ciconte.

Ma l’omerta’ non è solo al Sud e soprattutto, come sottolineato, “non è vero che tutti i mafiosi sono omertosi. I capi si sono sempre esposti per concludere affari con le autorità”.

Il professore ha spiegato come i mafiosi abbiano sempre parlato anche senza comunicare verbalmente : “Se si trovava un cadavere con i soldi nel taschino quello era un segnale che quel soggetto aveva rubato all’organizzazione. O ancora, quando si ritrovava un morto con un sasso in bocca il messaggio era che aveva parlato troppo”. Ciconte, ha poi proseguito: “I mafiosi da sempre cercano di dirci di farci i fatti nostri. Lo dimostrano i numerosi giornalisti, magistrati, sindaci, amministratori costretti a girare con le scorte, temere per i propri cari, vivere sospesi a un filo”.

La giornalista Antonella Crippa e il professor Enzo Ciconte

 

Nel libro si parla anche del rapporto tra social e mafia. Ciconte ha raccontato un episodio disarmante circa un post pubblicato su facebook da un membro di un’associazione mafiosa appena condannato in primo grado: “Stasera mangio pesce fresco“ aveva scritto sulla propria pagina social. Un messaggio non innocente, come rilevato dal professore:  “Anche questo è un segnale per mostrare forza, superiorità ; nemmeno una condanna lo ha abbattuto. I mafiosi si adattano ai cambiamenti della società. Non hanno mai inventato nulla. Hanno sempre strumentalizzato e modificato in negativo tutto; lo hanno fatto a partire dalle parole più profonde, quali per esempio battesimo o onore. Non meraviglia quindi che abbiano trovato il modo di utilizzare i social come strumento utile alla loro causa”.

Secondo Ciconte, i social non sono un mezzo per affiliare, ma uno strumento per creare consenso a fronte di una ‘perdita di terreno’. “Il mafioso non cerca coloro che mettono mi piace ai post o che lo seguono sui social, ma  contatta individui che hanno rapporti con la criminalità. Compie una ricerca oculata prima di selezionare i suoi ‘picciotti’, partendo dalla loro discendenza”.

Il pericolo social è dunque rappresentato dalla diffusione di idee, di fake news. il professore ne ha ricordate alcune: “La mafia non ammazza bambini e donne “, smentita dalla storia stessa poiché ove era necessario i mafiosi non si sono fatti problemi come nel caso di Maria Strangio, oppure “La mafia è figlia dei briganti “, affermazione utilizzata per immaginare il mafioso come colui che toglie ai ricchi per dare ai poveri.

“Quando sono arrivati gli alleati in Italia sono stati aiutati dalla mafia “ . “E’ vero solo nelle sale da cinema. La storia ci dice altro” ha detto Ciconte “Mussolini li ha condannati perché erano mafiosi, non perché erano antifascisti. La patente antifascista i mafiosi non la meritano”.

Ciconte ha concluso: “Se non fosse stato permesso dai signori del Nord le mafie non si sarebbero radicate in questo territorio. I mafiosi da sempre sono uomini che vanno in chiesa: finanziano le ristrutturazioni, la Pro Loco, le feste patronali e quindi in tal modo creano il consenso. Hanno collegamenti con gli assessori, con le imprese per la costruzione dei cantieri. Inoltre, la residenza gli ha concesso di poter votare, infiltrandosi anche nella politica. Molti imprenditori del Nord hanno aperto le braccia ai mafiosi. Caso emblematico è quello di Giacomo Zagari, il quale trasferitosi al Nord diventò un punto di riferimento per file di imprenditori”.

Già 21 anni fa Ciconte aveva affermato: “Gli uomini di mafia arrivano al Nord perché ci sono uomini cerniera, ovvero uomini nati e cresciuti al Nord che mettono in collegamento il mondo legale con la sfera illegale. Le cose non sono cambiate, dobbiamo continuare a combattere questa battaglia politico-culturale senza illudersi che possa farlo solo la magistratura”.

L’ultimo incontro della rassegna 4 colpi alla ‘Ndrangheta si terrà il prossimo 3 maggio a Eupilio sempre alle ore 21 in Comune: “La ‘Ndrangheta, dal sequestro di Cristina Mazzotti ad oggi” il titolo