Erba

Anche il comasco Aldo Pagano a La passione per il delitto

Lorenzo Colombo 8 Ottobre 2015

Attualità, Erba

Aldo Pagano 11

ERBA – Ci sarà anche il giornalista Aldo Pagano, con la Trappola dei Ricordi (Todaro), domenica, alla rassegna erbese Passione per il delitto. Presentato da Katia Trinca Colone, l’autore parlerà di questa sua opera prima, che tanto successo sta già ottenendo. Poco più di 300 pagine per raccontare l’Italia degli intrighi, della mafia, della corruzione dell’ultimo trentennio tra disillusione, cinismo. Perché quella narrata da Pagano  non è poi una storia tanto lontana dalla realtà.

L’ambientazione è a Balbenna, che ricorda tanto Bari, dove l’autore – che oggi vive a Como – ha trascorso gli anni della formazione sentimentale. Vi sono tuttavia richiami continui a Milano, di cui Emma Bonsani, Pm trasferita al Sud che nel capoluogo lombardo ha lasciato il marito, sembra portare nel corpo e nell’anima l’identità, in termini «di determinazione, ambizione», oltre che di rigore e disciplina, che a poco a poco sfuma. Attraverso di lei emerge l’amore di Pagano per Milano, «che non avrei mai potuto non evocare». La storia si snoda attraverso il ritrovamento del cadavere di Roberto, giornalista, e delle indagini svolte da Emma, un tempo fidanzata, poi amante ma soprattutto PM. Ci sono le indagini attorno a cui ruotano ambiziosi e frustrati, potenti e deboli, prevaricatori e pusillanimi. C’è l’esigenza della verità, che fa vacillare anche i migliori, quelli che da sempre si danno la protezione e l’argine della giustizia, «ma che sanno – spiega Pagano – che spesso le regole contano poco e allora hanno la tentazione di superarle», che significa infrangerle.  E’ Pagano stesso a riconoscere che «Emma non è un magistrato tutto d’un pezzo: piega l’applicazione della legge al suo personale codice etico».  Eppure, come donna, «guarda in faccia i suoi fallimenti e mette in dubbio le proprie convinzioni». E poi c’è l’amore, amicale e di coppia, l’unico sentimento, secondo Pagano, «che può mettere in crisi l’uomo, che può portarlo a cambiare», che può eliminare l’odio, rendere sopportabile la morte. Di qui un titolo metafora dell’esistenza, che da un certo punto in poi diventa ricordo, flash back, tormento per quegli indizi mancati che se nella professione sono recuperabili ‘lacune’, nella vita si trasformano in incolmabili ‘voragini’.  Non v’è dubbio che nel testo si percepisce l’idea che Pagano ha di questo Paese, «che – ammette – si continua a barcamenare in cambiamenti ininfluenti, senza che si sviluppi davvero un senso della responsabilità». E anche di un certo giornalismo che ha abdicato forse alla capacità di smuovere le coscienze. E in effetti, di intrigo in intrigo, quasi non si arrivasse mai al fondo della disonestà umana, è difficile cogliere speranza. Seppure l’autore assicura che c’è, «perché deve esserci per forza» e lui infatti l’affida all’amore. Sono 300 pagine ‘fitte’, frutto di ricerca e di una attenta osservazione della realtà in cui il lettore viene continuamente depistato. E seppure, come si usa dire nel politicamente corretto, ‘fatti e persone sono di pura fantasia’, il nostro Paese è riconoscibile, anche attraverso il racconto di fatti e persone semplicemente de-contestualizzati. Non c’è il sogno, ma l’utopia – non l’ideologia – quella sì. L’utopia scardinata e violentata è il filo rosso della narrazione.